Su Kyashan esiste un’annosa (si fa per dire…) questione che riguarda lo spelling del nome con caratteri latini. Kyashan (fedele alla scrittura giapponese “キャシャーン”) o Casshern (una delle possibili letture plausibili per gli autori originali e sposata dalle versioni anglosassoni e dalle ultime versioni giapponesi).
Anche se l’idea di farlo suonare vicino alla parola Cash fosse proprio nell’intenzione degli autori originali, non inteso proprio come “vile denaro” e con un po’ d’ingenuità linguistica di fondo, preferirò per affezione riferirmi al personaggio secondo la versione italiana classica Kyashan.
Kyashan è una serie prodotta dalla Tatsunoko nel 1973, sotto ideazione dell’allora patrono Tatsuo Yoshida e dello staff Tatsunoko con le sue complesse ramificazioni, compreso Hiroshi Sasagawa alla regia generale.
La serie del ragazzo androide è stata portata avanti in parallelo all’allora blockbuster, sempre della Tatsunoko, Gatchaman, considerata dai produttori la serie di punta del momento, sacrificando in parte il budget per Kyashan. Infatti mentre Gatchaman era già partita nel ’72, aveva una durata di ben 105 episodi e vantava una realizzazione su pellicola 35mm, Kyashan partì nel ’73 con una durata di soli 33 episodi e fu realizzata al risparmio su pellicola 16mm.
Nonostante ciò lo staff preposto allo sviluppo della serie giocò le sue carte sul piano di un trasporto emotivo superiore nei confronti del pubblico, così decise di privilegiare l’aspetto della trama a discapito delle risorse dedicate all’animazione.
Le atmosfere di Kyashan sono più cupe e pessimistiche, contornate con un alone di dramma incombente e continuo. Il personaggio di Kyashan è una sorta di reietto che ha sacrificato il suo corpo e la sua umanità per riparare un errore paterno e combatte per proteggere un’umanità che lo teme in quanto androide e per questo simile agli oppressori.
A questo punto urge un veloce ripasso alla trama generale: “L’androide BK1, programmato per una missione di decontaminazione della Terra, ‘impazzisce’ (o ‘rinsavisce’ a seconda delle interpretazioni) e crea un esercito di robot con lo scopo di debellare il vero male che la affligge: i suoi abitanti umani, origine dell’inquinamento. Tetsuya, il figlio del Dott. Azuma creatore dell’androide che ora ha assunto il nome di Bryking, offre la sua vita umana per trasformarsi in un androide egli stesso, e poter così combattere la minaccia che sta soggiogando l’umanità. Tetsuya con il nome di Kyashan inizia la sua battaglia, cercando di nascondere al mondo che non è più un essere umano”.
Un tema ecologista molto forte, l’ironia che determina che una soluzione umana anche a fin di bene vada comunque a ritorcersi contro chi l’ha creata, un personaggio combattuto tra il rimpianto della sua umanità perduta e una missione più grande di lui. La forte emotività della serie e la caratterizzazione dei personaggi sono l’arma vincente assieme al design del protagonista e al suo peculiare stile di combattimento contro i robot dell’armata di Bryking.
Infatti Kyashan ed il suo cane robotico Flender hanno uno stile davvero unico: anche se per questioni di economia vengono spesso riutilizzate le stesse inquadrature, i fendenti a mani nude di Kyashan che tagliano a metà o trapassano i giganteschi fanti robot e le metamorfosi di Flender fanno da elemento trascinante delle sequenze d’azione.
Dalla materia grezza del personaggio creato da Tatsuo Yoshida, autore e ideatore praticamente di tutto quello che veniva prodotto dalla Tatsunoko in quegli anni, ad arrivare al prodotto concluso però ha collaborato uno staff variegato di professionisti: dalla supervisione alla regia generale di Hiroshi Sasagawa ai registi effettivi degli episodi, tra i quali figurano anche Yuji Nunokawa, poi fondatore dello Studio Pierrot, e Yoshiyuki Tomino (chi non sa chi è non è degno di parlare di Zambot 3, Daitarn 3, Gundam e una quantità di altri insospettabili). Come avviene normalmente per le serie televisive d’animazione, dietro questi nomi che potrebbero essere i più vistosi ruotava un universo di direttori e supervisori di sceneggiatura/animazione con relativi alberi gerarchici di “supervisioni delle supervisioni” fino agli autori dei singoli disegni e dei singoli episodi. Davanti ad un lavoro corale così esteso, stupisce ritrovare infine una serie coerente e stilisticamente compatta come Kyashan.
Curiosità nostrana: ai tempi della prima edizione italiana Kyashan fu uno dei pochi anime dove fu mantenuta la sigla originale giapponese. Cosa analoga accadde per Polimar e Tekkaman, gli altri due cavalieri solitari Tatsunoko. Non so come possa pensarla il fandom dei tempi d’oro, ma personalmente non ho mai sentito la mancanza di una sigla italiana per nessuno di questi.
Dopo la serie originale del ’73 sono stati fatti tre tentativi di revival del personaggio: da una prima serie reboot di 4 OAV nel ’93 chiamata Casshān (“Kyashan Il Mito” nella versione italiana), molto meno emotivamente trascinante a ma tutto sommato vicina alle intenzioni dell’originale, a una curiosa e abbastanza lontana trasposizione cinematografica del 2004 intitolata Casshern e alla serie animata Casshern Sins del 2008, che personalmente ritengo abbia preteso di riscrivere troppo fino alla snaturazione totale del plot e del personaggio. Fatto sta che come spessissimo accade, nonostante le molte ingenuità di un prodotto datato, il fascino e la poesia dell’originale ancora adesso restano imbattuti.